Durante la Settimana Sabato
Sabato 23 Novembre 2024 ANNO B (VERDE)
Il giudice della parabola non è Dio, non scherziamo, ma il mondo insensibile alla legittime richieste della vedova, vedova che è la sposa di Cristo, la Chiesa. Luca scrive il suo vangelo quando le comunità cristiane nascenti sono travolte dalla follia dell'Imperatore che chiede di essere venerato come un Dio, e sono sconfortate e scoraggiate. E Gesù dice a loro e a noi: continuate a pregare, tenete legato il filo che vi unisce all'interiorità. E tanto più il mondo sbraita e si agita tanto più siamo chiamati a dimorare, a insistere, a tenere duro. Siamo chiamati a insistere. Non per convincere Dio, ma per convertire il nostro cuore. Insistere per purificare il nostro cuore e scoprire che Dio non è un giudice, né giusto né ingiusto, ma un padre tenerissimo. Insistere non per cambiare radicalmente le cose, neppure per cambiare noi stessi, ma per vedere nel mondo il cuore di Dio che pulsa. Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare, come Mosè che prega per vincere. Viviamo in questo mondo anche se non siamo di questo mondo. Teniamo duro, sempre!
La Domenica
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (BIANCO) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Gv, 18,33-37
Una bella intuizione ebbe Pio XI nel 1925 di introdurre la Solennità presente di Cristo Re dell'Universo, esordendo nella sua enciclica con queste parole: "E' necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l'onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero."
Come Dio, preesistente sin dall'eternità con il Padre e lo Spirito Santo, assieme ai Due regna sin dall'eternità e così anche come Verbo (Figlio) fatto Uomo. "Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono"(Col 12, 13 - 20). Per volontà del Padre, a Cristo è stato dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché a lui si pieghino tutti gli esseri terrestri, celesti e sotterranei (Cfr Fil 2, 20) e a lui sono sottomesse tutte le cose, essendo al centro della creazione, nonché il Primo e l'Ultimo. Ma anche nella sua umanità Cristo è partecipe della regalità divina perché nel Cristo terreno c'è il vero Uomo e il vero Dio, senza che queste due identità si separino. Anche nella sua umanità Cristo mantiene la sua comunione con il Padre; lui e il Padre sono una cosa sola (Gv 10, 30) e quindi come il Padre anche Cristo è Dio.
Al diritto di regalità esercitato da Cristo, corrisponde la necessità di sottomissione e di obbedienza da parte dell'uomo: se Cristo è Re in quanto Dio della stessa sostanza del Padre, l'uomo deve a lui rispetto, riverenza e sottomissione. Ciononostante, da parte sua Cristo non impone questi parametri di regalità e non esige servilismo e sottomissione acritica ed estrema.
La regalità di Cristo è piuttosto relazionata alle cose e alle persone; essa riguarda l'atteggiamento che assume nei confronti di quanti si rapportano a lui. E soprattutto è una regalità che si esprime per mezzo di opere di misericordia e di fatti concreti, allusiva all'amore con cui il Padre stesso in un certo qual modo si "smentisce" perché a favore dell'uomo rinuncia all'esercizio autoritativo della sua potestà.. Un modo di essere re e Signore, quello di Cristo, che si palesa nel servizio umile e sottomesso e nella sopportazione delle altrui ingiustizie e prevaricazioni. Soprattutto nella sua autoconsegna alle autorità giudaiche che hanno fretta di condurlo a Pilato perché questi lo metta a morte.
Proprio la sua autoproclamazione di Re dei Giudei era stato il motivo di aberrazione da parte di quanti volevano che Gesù fosse ucciso, e ora Pilato voleva vederci chiaro intorno alla fondatezza di questa accusa. A lui interessava accertarsi che Gesù non pretendesse una regalità a livello politico o egemonico, poiché suo compito era quello di mantenere la pace e la stabilità in quella parte dell'Impero di cui era procuratore. Quando interroga Gesù intorno alla sua identità e alle sue intenzioni (Dunque tu sei re?) comprende che Gesù parla un linguaggio del tutto diverso, a lui estraneo ma certamente non bellicoso. Al contrario, Pilato comprende che l'essere re di Gesù è correlato alla verità e all'amore. Certo, quando Pilato si sente dire "Sono venuto a rendere testimonianza alla verità" si mostra cinico e insensibile e individua in Gesù un possibile illuso visionario e vaneggiatore. Per Pilato infatti la verità è solamente ciò che si vede e ciò che si tocca, non esiste trascendenza o assolutizzazione. Eppure non può fare a meno di concludere che la regalità di Cristo è espressione di ben altra cosa che di egemonia o di predominio sulle masse. Si avvede che Gesù parla in nome di una verità che per lui è astratta e ridicola, ma per la quale si vuole raggiungere l'obiettivo di un mondo più giusto, sereno e meno controverso. Pilato vede che Gesù parla con autorità, ma senza eccessive pretese e soprattutto con sincerità e schiettezza allusive a finalità di amore. E allora lo dichiara innocente, vorrebbe liberarlo.
Il Regno di cui parla Gesù non è di questo mondo, non riguarda cioè predomini e dispotismi propriamente nostrani, ma è un regno di amore, di giustizia e di pace. Regno di servizio e di umiliazione fino a perdersi per gli altri e qualsiasi impostazione di governo anche attuale non può esulare da codeste aspettative che solo il Verbo Incarnato può apportare.
Sintetizzando: Cristo è Re in quanto vero Dio e vero Uomo e partecipe della stessa prerogativa di grandezza del Padre; egli avrebbe diritto di universale riverenza e non sarebbe fuori luogo il rispetto e la riverenza nei suoi riguardi. Ciò nondimeno Gesù sa in mezzo a tutti come Colui che serve. Anzi: "I re delle nazioni le governano e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così, ma chi è più grande fra di voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve"(Lc 22, 25 - 27). Il vero padrone del mondo è proprio chi non avanza troppe pretese, chi domina semplicemente il proprio corpo (Seneca) esercitando il meglio di stesso a favore degli altri. C'è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20, 20) e la vera padronanza risiede appunto nell'essere utili agli altri senza riserve.
Daldronde, quale ruolo di responsabilità non comporta abnegazione nei confronti di chi ci sta sottomesso? Quale autorità non è chiamata a mettersi in gioco per perseguire la finalità del bene comune o comunque per portare a termine il compito che le è stato affidato? Non vi è alcun potere, tirannico o democratico, che non comporti in tutti i casi immolazioni, croci e sacrifici per coloro che ci sono stati affidati e per quanto ci si voglia ergere sui popoli e sulle masse resta invariato che dominare comporta pur sempre umiliarsi e servire.
Alla conclusione di un anno liturgico e mentre se ne apre uno nuovo, assieme a Gesù Cristo Figlio di Dio, cero re della gloria sebbene sottomesso, approssimiamoci a percorrere un nuovo itinerario in sua compagnia, facendo nostre le prerogative di umiltà e di carità con le quali possiamo davvero dominare il mondo.